Rapporti giuridici e conflittualità sociale: questione di “buona fede”

(di Salvatore Primiceri) – Finora ho parlato di buonsenso come valore sopra le regole, una sorta di criterio valutativo da attuare preliminarmente alle nostre parole, decisioni ed azioni. Ma esiste anche una codificazione del buon senso, ovvero è possibile riscontrare il principio guida direttamente nelle norme da applicare/rispettare?

Certamente sì. In diversi casi concreti, per esempio nella nostra Costituzione e nel Codice Civile, vengono espressi principi e regole ispirate da concetti più generali discendenti da sensazioni e convinzioni oggettive al di sopra dell’ordinamento giuridico in senso stretto.
Sto parlando del dovere di correttezza, di onestà. Essere corretti e onesti non è solo dovere di rispettare le leggi ma alcune stesse leggi sono, prima di essere applicate/rispettate, inclusive dei principi del buon senso.
Nell’ordinamento italiano un esempio può essere dato dalla disciplina delle obbligazioni e dei contratti, racchiusa nel codice civile.
Il contratto è un negozio giuridico che prevede la partecipazione di due o più parti. Esse si mettono d’accordo per costituire, regolare o estinguere un rapporto patrimoniale.
L’incontro tra esse avviene per loro stessa volontà, valutato l’interesse reciproco ad avviare un rapporto giuridico.
Un rapporto di questo tipo nascerebbe viziato se fra le parti non vi fosse stima e fiducia. Che senso avrebbe, infatti, tentare di instaurare un rapporto basato su un contratto se già in fase di trattativa una o entrambe fossero diffidenti una contro l’altra?
La nascita di un rapporto giuridico sano che sia destinato a durare nel rispetto delle parti e dell’oggetto é salvaguardato dal codice civile grazie al principio della buona fede.
L’art. 1337 c.c. ci insegna che “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede“.
Ma che cosa è la buona fede? E’ il dovere generale di correttezza e reciproca lealtà di condotta nei rapporti tra le parti contraenti.
Il suddetto articolo, quindi, partendo dalla buona fede ci richiama altre parole di “buonsenso“, ovvero correttezza, lealtà reciproca, buona condotta nei rapporti.
Il termine correttezza viene anch’esso codificato nell’art. 1175 c.c. dove si legge che “Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza“.
Il criterio oggettivo che il legislatore ha posto è quindi il dovere di comportarsi onestamente. Correttezza e buona fede sono quindi facce della stessa medaglia, valori non definiti preventivamente dalla legge ma regole a cui le parti devono attenersi e strumenti di valutazione che i giudici devono adottare ai casi specifici.
Analogamente potremmo affermare che tali clausole generali estendono al negozio giuridico la previsione dell’art. 2 della Costituzione, che disciplina il principio della solidarietà sociale: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale“.
I soggetti dell’obbligazione, infatti, devono comportarsi reciprocamente in modo collaborativo.
Tornando alla buona fede nei contratti, quindi, registriamo l’ispirazione di buonsenso della normativa che, attraverso la previsione della “responsabilità precontrattuale“, tutela le parti da inganni, da contratti invalidi o inefficaci, da trattative che si rivelino poi inutili. Il buonsenso viene acquisito da norma generale a strumento concreto che disciplina regole di condotta nell’instaurare rapporti.
Se quindi buon senso, buona fede, correttezza, lealtà, onestà, solidarietà, collaborazione, reciprocità, sono le parole chiave della nascita di un contratto, le stesse devono essere i pilastri del sostegno alla sopravvivenza dei rapporti sociali e le stesse dovranno dettare le linee di gestione positiva di un eventuale sorgere di conflittualità.
Oggi, in una società estremamente conflittuale, la maggioranza degli accordi tra soggetti viene inficiata dalla mancanza di fiducia e buona fede reciproca. Il criterio utilitaristico con cui una parte cerca di salvaguardare i propri interessi o a trarre benefici ai danni dell’altra parte, fa sì che molti rapporti siano sul nascere già destinati a sfociare in controversie in cui le parti sono semplicemente “contro” senza alcuno spirito collaborativo. Il muro del conflitto va quindi abbattuto attraverso l’applicazione delle regole di buonsenso che il nostro ordinamento ben recepisce.

Salvatore Primiceri

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