Il “Problem Solving Strategico” applicato alla Mediazione

cubo“Se c’è un problema, c’è anche la sua soluzione”

(Giorgio Nardone)

(di Salvatore Primiceri) – La gestione e la soluzione dei conflitti è strettamente legata al più ampio campo della risoluzione dei problemi. Un problema può attraversare la persona sul piano mentale psicologico, oppure sul piano pratico lavorativo. Gli effetti di un problema sono molteplici, ad esempio dalla difficoltà di affrontare la vita alla difficoltà di raggiungimento di una sperata performance e di una buona soddisfazione sul lavoro. Il problema diventa conflitto con sé stessi per poi andare a compromettere le relazioni esterne. È possibile lavorare sulla soluzione di tali problemi/conflitti attraverso alcuni metodi scientifici, non sempre efficaci allo stesso modo. È quindi importante saper individuare la corretta strategia.

Il noto psicoterapeuta Giorgio Nardone, fondatore insieme a Paul Watzlawick del Centro di Terapia Strategica di Arezzo, tra le tante attività teorico pratiche rivolte alla soluzione dei problemi, ha messo a punto un metodo la cui valenza scientifica è riconosciuta in tutto il mondo. Sto parlando del “Problem Solving Strategico”.

Chiedo scusa al professor Nardone se il mio tentativo di esporre di seguito la tecnica del problem solving strategico apparirà lacunoso e sintetico. L’obiettivo è quello di suggerire al mediatore professionista un metodo che ben si armonizza con le dinamiche proprie di una procedura di mediazione. Per i dovuti approfondimenti rimando alla prolifica bibliografia del professor Nardone, in particolar modo al testo “Problem Solving Strategico da tasca, l’arte di trovare soluzioni a problemi irrisolvibili”, Salani Editore, 2009.

L’enciclopedia on-line Wikipedia definisce il Problem Solving come “un’attività del pensiero che un organismo o un dispositivo di intelligenza artificiale mettono in atto per raggiungere una condizione desiderata a partire da una condizione data”. In questa sede ci interessa, ovviamente, l’attività del pensiero umano e ciò che esso è in grado di elaborare al fine di risolvere un problema.

Il Problem Solving Strategico si suddivide nei seguenti passaggi:

          Definire il problema

          Concordare l’obiettivo

          Valutare le tentate soluzioni

          La tecnica del “come peggiorare”

          La tecnica dello “scenario oltre il problema”

          La tattica dei piccoli passi

          La tecnica dello scalatore

          Aggiustare il tiro progressivamente

 

Proviamo ad analizzare i suddetti passaggi traslandoli al tavolo della mediazione.

Definire il problema. Il punto di partenza per avviare un percorso di soluzione di un problema/conflitto è individuare in modo chiaro e preciso quale è il problema. Questo deve avvenire “al di là dell’istanza”. Il problema rappresentato nell’istanza di mediazione può essere l’espressione parziale di un problema più ampio oppure la conseguenza di un problema sotteso e inespresso. L’istanza, poi, è la comunicazione di un problema per come viene vissuto da una singola parte. Occorre che il mediatore, con le tecniche che gli sono proprie e coinvolgendo tutte le parti, individui con certezza il problema reale a cui cercare soluzione. Tale azione non è indispensabile solo al mediatore per gestire efficacemente i successivi passaggi della procedura di mediazione ma, soprattutto, è d’aiuto alle parti stesse per liberarsi di pregiudizi e concetti che “viziano” la caratterizzazione del problema stesso e, di conseguenza, l’approccio e le modalità di ricerca della soluzione.

Concordare l’obiettivo. Fatta chiarezza sui termini del problema da risolvere è opportuno immaginare il risultato a cui propendere per poter archiviare definitivamente il problema come risolto. In termini generali, l’obiettivo di un tentativo di mediazione è l’accordo ma, sappiamo, che esso deve conciliarsi con i reali bisogni delle parti. Il mediatore professionista deve quindi abilmente individuare i bisogni delle parti in relazione al problema definito col primo passaggio. Non è inusuale che, durante l’incontro di mediazione, attraverso il dialogo reciproco ben gestito dal mediatore, emergano bisogni piuttosto differenti da quelli inizialmente espressi dalle parti attraverso l’istanza o le battute iniziali del primo incontro.

Valutare le tentate soluzioni. Un esercizio estremamente utile per poter procedere con maggior facilità verso la ricerca di un accordo è quello di elencare tutti i tentativi di risolvere il conflitto/problema che si sono messi in atto fino al primo incontro di mediazione. Si tratta di prendere maggior coscienza di come le soluzioni tentate siano risultate fallimentari e di come, in molti casi, i tentativi fossero solo apparenti ovvero non portatori di una vera volontà di conciliare. È opportuno quindi non solo mettere sul tavolo tutte le soluzioni tentate ma, in particolare, analizzare perché non hanno avuto successo. Capita spesso, infatti, che siano proprio questo tipo di “tentate soluzioni” ad alimentare e inasprire ancor di più il conflitto/problema. L’individuazione delle azioni fallimentari permetterà di escludere tutte le soluzioni infruttuose, discernendo con precisione gli effetti negativi (da scartare) da quelli positivi. In mediazione vanno raccolti eventuali elementi positivi scaturiti da tentativi precedenti di risolvere il conflitto. Potrebbero risultare utili per il proseguimento dell’azione di Problem Solving finalizzata alla ricerca dell’accordo fra le parti.

La tecnica del “come peggiorare”. Giunti a questo punto ripartiamo dai dati che il mediatore ha raccolto. Egli ha individuato il problema reale, facendone prendere il più possibile coscienza alle parti; ha concordato con le parti l’obiettivo dell’accordo, ovvero ha individuato, con buon grado di certezza, i reali bisogni di esse; ha eliminato, dopo averle fatte emergere durante l’incontro, tutte le tentate soluzioni fallimentari che le parti avevano messo in atto fuori dal tavolo della mediazione in momenti precedenti; ha salvato eventuali parziali effetti positivi derivanti da tentativi di soluzione del conflitto/problema. Il metodo del Problem Solving Strategico di Nardone propone in questa fase una domanda fondamentale che apre il ragionamento: “cosa fare per peggiorare la situazione?”. Tale domanda può essere sì posta dal mediatore a sé stesso, qualora stia compiendo un’opera di autovalutazione al fine di correggere la conduzione di una mediazione complessa dove sente di non influire in modo efficace nel rapporto con le parti, ma assume particolare importanza quando viene rivolta dal mediatore alle parti. Il punto di vista di partenza o il cambio di prospettiva non diviene, quindi, il “come risolvere il problema” ma il “come peggiorarlo”. Attraverso questo esercizio, apparentemente paradossale, le parti possono ulteriormente avanzare nel processo di presa di coscienza del problema reale e di come i tentativi fino a quel momento di risolverlo siano stati fallimentari. Comprendere, ad esempio, che continuare ad applicare un certo metodo di ricerca della soluzione non farà altro che peggiorare ulteriormente il conflitto, consente di cambiare la prospettiva mentale delle parti rispetto al problema. Stiamo gradualmente passando, infatti, dal “abbiamo un problema e non possiamo/vogliamo risolverlo” al “abbiamo un problema che dobbiamo/vogliamo assolutamente risolvere in modo positivo per entrambe”. La fase centrale che ha permesso tale importante passo avanti è stata costituita dall’emersione del reale problema, degli obiettivi, dei bisogni e della presa di coscienza di come i tentativi delle parti di risolvere il conflitto siano stati fallimentari o inutili oppure viziati, nella maggior parte dei casi, da una visione del problema “a somma zero”, ovvero quando le parti mantengono rigidamente le proprie posizioni perché valutano una reciproca apertura come una “concessione” o peggio ancora “sconfitta” nei confronti dell’altra parte, vista come “avversario”. La differenza tra l’analisi delle tentate soluzioni e la tecnica del “come peggiorare” risiede nel fatto che il primo esercizio analizza il passato mentre il secondo immagina il futuro. Rappresentando uno scenario futuro ancor più negativo di quello attuale, le parti possono trarne la conseguenza della necessità di cambiare strategia, aderendo con maggior convinzione e collaborazione al tentativo di mediazione.

La tecnica dello “scenario oltre il problema”. Al fine di rafforzare la raggiunta volontà e determinazione delle parti al raggiungimento della soluzione/accordo al problema/conflitto potrebbe rivelarsi utile anche un’altra tecnica, ovvero quella di immaginare lo scenario una volta che l’obiettivo fosse stato raggiunto. Immaginando, infatti, uno “stato ideale”, le parti si sentono invogliate a raggiungere l’obiettivo al di là del passato e del presente. Il mediatore deve possedere l’abilità di rendere le parti complici di un “gioco” che permetta loro di guadagnare l’idea di come sarebbe il loro futuro con quel problema specifico risolto definitivamente e, in particolare, quali benefici potrebbe portare loro un accordo.

La tecnica dei piccoli passi. La mediazione è un viaggio in cui, prima di partire, va individuato correttamente il traguardo. Il punto di arrivo potrebbe essere raggiunto attraverso diversi percorsi. L’abilità del mediatore sta nel comprendere quale sia la strada migliore e convincere le parti a percorrerla insieme. Le tappe, i luoghi, le parole, le esperienze di questo viaggio rappresentano i piccoli passi con cui, gradualmente, si raggiungerà la destinazione, rappresentata dall’accordo/soluzione al problema. Un viaggio è ricco di meraviglie ma anche di possibili imprevisti e difficoltà. Nello zaino del mediatore e delle parti occorre inserire tutte le tecniche esposte finora e una buona dose di creatività e ingegno. Mi piace, lo dico spesso, immaginare il mediatore e le parti indossare il “cappello verde”, quello che lo psicologo Edward De Bono definisce il cappello del pensiero laterale e creativo. Le soluzioni del cambiamento si trovano aprendo la mente a tutte le prospettive possibili. In questo modo scopriamo che la soluzione ad un problema è molto più vicina di quanto si possa immaginare utilizzando i criteri della logica classica e dell’esperienza abituale. Questo è il tavolo della mediazione.

La tecnica dello scalatore. Il professor Nardone definisce così un ulteriore strumento che ci aiuta ad affinare la strategia di Problem Solving. Egli prende spunto dalla tecnica utilizzata dalle guide alpine per definire il percorso più corretto per scalare una montagna. Lo scalatore, infatti, non progetta il percorso partendo dalla base, bensì dalla cima della montagna andando a ritroso. In questo modo restringe il margine di errore partendo direttamente dall’obiettivo da raggiungere. Anche in mediazione, per i conflitti più complessi, tale tecnica può rivelarsi estremamente utile ed efficace. Si tratta quindi di procedere per gradi, ma tracciando il percorso al contrario. Si vengono così a creare dei micro obiettivi che permettono l’avanzamento del percorso cristallizzando i risultati ottenuti fino a un determinato momento. Nel mio testo La Mediazione Laterale” (PE Editore, 2013) parlo di “scomposizione del conflitto”. Per dirla alla “De Bono” maniera potremmo anche utilizzare l’espressione “frazionamento del problema”. In sostanza una mediazione complessa in cui emergono più motivi di conflitto può essere scomposta in più passaggi ognuno dei quali rappresenta un obiettivo da cristalizzare.

Aggiustare il tiro progressivamente. Strettamente connessa al tema della scomposizione del conflitto è la tecnica della “correzione progressiva”. Si tratta, appunto, come accennato in precedenza, di procedere per gradi dopo aver individuato una serie di problemi da risolvere nell’ambito del medesimo conflitto. È utile partire dal più semplice e andare a risolvere progressivamente i problemi. Come ci insegna Nardone, però, è necessario non perdere mai di vista la globalità del problema su cui stiamo intervenendo, mantenendone così una visione che permetta di individuare le possibili connessioni esistenti tra le varie parti del conflitto. Il mediatore, quindi, non perde mai di vista il problema ma, abilmente, riuscirà a gestire le questioni più complesse attraverso le tecniche della scomposizione e della gradualità. Il risultato finale sarà un accordo armonico di tutte le soluzioni trovate.

Resistenza al cambiamento e effetto Hawthorne. Una delle abilità principali del mediatore è quella di neutralizzare le cosiddette resistenze al cambiamento. Per cultura, esperienza e forma mentis radicata da molti secoli, la nostra società ha assunto un metodo di ragionamento prevalentemente di tipo “verticale”, uniformando il pensiero su un modello logico che finisce con l’apparire spesso come unico utilizzabile. Con le tecniche sopra esposte il mediatore potrà fare molto per scardinare le “false sicurezze” e le rigidità mentali dello “status quo” derivante dall’uso prioritario del pensiero verticale, spostando la prospettiva sul modello “laterale. Ma egli può fare molto di più. La professione del mediatore deve evolvere al fine di far scattare nelle parti in mediazione il cosiddetto “effetto Hawthorne”. Si tratta della suggestione positiva che le persone hanno del professionista terzo arrivando al punto di impegnarsi maggiormente a risolvere il proprio problema. In parole semplici: per il semplice fatto di rivolgersi ad un esperto di risoluzione delle controversie con il preciso obiettivo di trovare un accordo, le parti si pongono già in partenza con una predisposizione di base al cambiamento. Ovviamente oggi questo passaggio ha ancora necessità di affermarsi e la strada da compiere è ancora lunga. Il mediatore, infatti, non è ancora percepito con la dovuta conoscenza nella società e quindi si dovrà molto lavorare sulla sua crescita professionale e sulla sua visibilità come professionista autorevole nel contesto sociale. Vedere le parti sedersi al tavolo della mediazione con una predisposizione “a somma variabile”, cioè già inclini a valutare le possibili soluzioni per trovare un accordo, affidandosi inoltre con piena fiducia al mediatore, capace di rendere già favorevole il clima di partenza solo esercitando la sua autorevolezza, è uno scenario ideale su cui il mondo della mediazione deve tendere per risolvere a sua volta il problema interno di affermazione dell’istituto nella società.

Conclusioni. È ormai acclarato come la mediazione sia una scienza che prende vita da moltissime tecniche ed esperienze trasversali, dalla psicologia alla gestione manageriale, dalla filosofia al diritto, fino alla comunicazione. Oggi più che mai c’è bisogno, nella nostra società, di una figura professionale, non in contrapposizione con altre fondamentali professioni, che sappia gestire e aiutare le persone ad un cambio di prospettiva, a gestire un cambiamento nel modo di risolvere i conflitti. La soluzione ad una controversia non può e non deve essere sempre quella di recarsi in tribunale a richiedere l’intervento di un giudice. Esistono altre strade per rendere molto più efficace il viaggio verso le soluzioni. Tale viaggio può essere rappresentato dalla mediazione e il mediatore deve diventare il conducente affidabile e autorevole che renda il viaggio degno di essere vissuto.

Salvatore Primiceri

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