Alla ricerca del Buon Senso. Alcune possibili definizioni

cartesio(di Salvatore Primiceri) – Che cos’è il buonsenso? Come si potrebbe definire? Difficile fornire una risposta esatta quando bisogna dare una definizione ad un concetto che può apparire “astratto” o comunque riconducibile all’elaborazione umana più interiore.

Un esercizio per trovare una possibile risposta è quello di analizzare le parole. La parola “buono” ci fa capire che siamo nella sfera del “giusto” e del “positivo“. Potrebbe rientrare nel buono anche qualcosa di “utile” ma qui entrerebbe in gioco un criterio soggettivo che decide il buono a seconda dell’utilità del risultato. Un risultato utile a me stesso potrebbe non esserlo altrettanto per i soggetti con cui mi sono relazionato nell’ambito di una vicenda comune.
Per questo quando parliamo di buon senso intendiamo che la sua corretta applicazione non possa e non debba produrre effetti negativi per alcuno (positività del risultato).
La parola “senso” ci indica la strada della “percezione“. Attraverso i sensi naturali percepiamo molte cose. In aggiunta a questi siamo detentori di un ulteriore senso innato che ci permette di intuire preventivamente ciò che é giusto o ciò che può far bene ad un’intera comunità in una determinata situazione.
Cartesio accostava il buon senso alla ragione. Ma nel vedere che poi i singoli individui non utilizzavano tutti la ragione nello stesso modo si interrogava come questo fosse possibile. La risposta fu il metodo. E probabilmente aveva ragione.
Oggi più che mai, infatti, in un mondo dove le popolazioni si sono sviluppate nei secoli attraverso divisioni e ideologie culturali centrate su profonde differenze, la riscoperta del buon senso può divenire un esercizio complesso col rischio che ognuno ne dia una definizione o interpretazione non appropriata o dettata da fini utilitaristici.
Per riscoprirne il significato autentico bisognerebbe ripartire da Socrate e dalle domande che egli rivolgeva ai suoi discepoli in cerca di saggezza. Egli ascoltava, non giudicava e induceva a ragionare attraverso la formulazione di specifiche questioni che il più delle volte portavano i giovani studenti a risultati di riflessione e conoscenza più elevati, oltre che di rispetto reciproco.
Rispetto, ascolto, prudenza, analisi, ragionevolezza ed equilibrio potrebbero quindi essere alcuni ingredienti del buon senso. L’eliminazione di qualsiasi pregiudizio e un approccio aperto al nostro interlocutore spiana la strada ad un comportamento saggio e positivo.
Il buon senso è la capacità di giudicare con equilibrio e ragionevolezza una situazione, comprendendo le necessità pratiche che essa comporta“, afferma l’enciclopedia on-line Wikipedia che ha recentemente modificato la definizione. Quella precedente era: “la capacità di ascoltare le argomentazioni degli altri utenti, nella ricerca di un punto di convergenza – anche attorno a temi di particolare complessità – raggiungibile solamente con la ragione e la pacata discussione”.
Per me potrebbe valere una definizione che veda il buon senso come “una capacità innata e oggettiva dell’essere umano che, se correttamente applicata, può prevenire situazioni di conflitto o gestire e risolvere positivamente controversie di varia natura nell’interesse non solo delle parti ma anche pubblico“. Per questo è necessario avere la capacità di individuarlo e dotarci del metodo e degli strumenti necessari per poterlo applicare al meglio.
Sull’oggettività del buon senso ritorna la teoria dello “spettatore imparziale” di Adam Smith, volta ad eliminare il fine utilitaristico personale nell’applicazione del buon senso.
Ma il buon senso come si concilia con le regole imperative degli ordinamenti? Nelle codificazioni democratiche il buon senso é una regola assorbita da diverse norme. Nel nostro codice civile si pensi al principio di buona fede, al criterio di ragionevolezza, alla diligenza del buon padre di famiglia, al dovere di correttezza, etc.”. In alcuni casi l’applicazione in senso stretto della legge può portare ugualmente a risultati percepiti come “ingiusti“. E in questi casi che, probabilmente, viene a mancare l’uso del buon senso come regola primaria al di sopra del diritto e come criterio di analisi preventiva sugli effetti dell’agire e dell’applicare rigidamente una norma.
Sempre in virtù di quella ragionevolezza più volte auspicata e di quel senso del “giusto” e del “positivo”, anche la legittima applicazione di una norma imperativa deve preliminarmente essere sottoposta all’analisi del buonsenso.
Tornando all’enciclopedia Wikipedia nella definizione di buon senso troviamo anche il fatto che: “Un approccio di buon senso permette, in determinate situazioni, di discostarsi dalla lettera delle linee guida“.
Ciò significa che l’applicazione del buon senso può differire dalla previsione normativa arrivando talvolta a derogare le stesse norme in virtù di una percezione oggettivamente giusta e di un risultato evidentemente più giusto e soddisfacente per le parti e per la collettività.
Usando un termine che mi piace moltissimo, trovo che il buonsenso sia una mediazione capace di ottenere il massimo e alto risultato nelle relazioni di tutti i giorni, nel lavoro, nell’esercizio della giustizia, nella politica, etc. Quella giustizia veramente giusta in cui si ravvisa solo l’autentica soddisfazione delle parti, nel pieno rispetto della loro diginità e della collettività, senza alcun effetto negativo sugli altri,

Salvatore Primiceri

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