La libertà di Mill ai tempi del “green pass”

di Salvatore Primiceri – Il dibattito sul tema sull’obbligatorietà o meno del “green pass” per accedere a determinati luoghi pubblici stimola una rinnovata riflessione sul concetto di libertà.

Premetto che tra quelli della mia età sono stato tra i primissimi a vaccinarmi contro il covid-19. Si è trattato di una scelta libera, ponderata e consapevole. Da un punto di vista etico ciò che più ha prevalso in me è stata la forza di volontà, la voglia di dare un contributo attivo alla società nel dramma collettivo che stiamo vivendo, il desiderio di riprendermi una vita “normale” in cui sentirmi il più possibile libero e felice e di aiutare gli altri ad ottenere la stessa cosa. Mettere in sicurezza me e chi mi sta vicino mi è parso un atto giusto e doveroso da compiere. La ricezione del mio “green pass” è stato come un bel voto a scuola, il riconoscimento di aver fatto la cosa più buona e giusta che potessi fare in questo momento. La sensazione di aver fatto bene e del bene a me stesso e agli altri è impagabile. Per questo mi piacerebbe che tutti la provassero e mi dispiacerebbe vedere vanificato il risultato di tale impegno. Sono generalmente contrario ad obblighi e imposizioni purché la mia scelta libera venga rispettata, tutelata e salvaguardata nei suoi effetti. Il seguente contributo vuole umilmente fungere da ciò che John Stuart Mill, nel suo trattato “Sulla Libertà” chiama “giurisdizione della società” ovvero un tentativo da cittadino verso altri cittadini di favorire e indirizzare le scelte dei singoli verso il conseguimento del bene comune ancor prima che lo Stato assuma le sue decisioni. E visto che in nome della “libertà” si sentono dire tante cose, ecco come la pensava Mill.

Il filosofo inglese John Stuart Mill ha pubblicato nel 1859 il celebre saggio “Sulla libertà“. Rileggendolo scopriamo quanto Mill fosse radicale e liberale nelle sue idee tanto da affermare che la “libertà viene prima dello Stato“. Ma attenzione a non banalizzare ed equivocare tali parole. Libertà, infatti, non è fare ciò che si vuole. Le libertà individuali, per Mill, sono sì inviolabili, dalla libertà di gusto alla libertà di opinione, dalla libertà di parola alla libertà di associazione, ma in questa centralità dell’individuo, Mill, pur manifestando in linea di principio la sua decisa contrarietà all’intromissione dello Stato nelle libertà dei cittadini, ammette che l’autorità possa intervenire, in un secondo momento rispetto alla società (giurisdizione della società) e solo in rari casi, a regolare o limitare la libertà dei singoli in funzione di un risultato futuro che migliori la felicità della maggioranza dei cittadini.

Quali sono questi casi? Quando e come lo Stato può intervenire?

Mill è estremamente chiaro: la libertà è un bene che funziona in modo efficace a sé stessi se messo in relazione e copartecipazione con la libertà degli altri. La libertà è sì un bene individuale, ma soprattutto collettivo. La libertà non può quindi rischiare di trasformarsi in “un’egoistica indifferenza” verso il prossimo e verso la comunità in cui si vive e lavora. Per questo l’intervento statale è desiderabile quando uno o più soggetti, attraverso il loro comportamento, mettono a repentaglio la libertà e l’incolumità degli altri.

Mill auspica innanzitutto una “spinta gentile” da parte della società civile a persuadere chi assume comportamenti lesivi della propria e altrui libertà a comprendere i vantaggi di aderire ad azioni più convenienti al fine di preservare la libertà di tutti, senza prevedere sanzioni o punizioni. Da bravo utilitarista e consequenzialista, Mill invitava a considerare preventivamente tutte le possibili conseguenze delle proprie decisioni e azioni. Ma, nel momento in cui l’individuo non solo lede sé stesso (per esempio con comportamenti viziosi quali l’ubriachezza) ma, in conseguenza del suo comportamento, mette seriamente in pericolo gli altri, allora è lecito aspettarsi un intervento dello Stato il quale dovrebbe operare attraverso il criterio della “felicità per il maggior numero” e non in modo esclusivamente punitivo.

Da un punto di vista dell’autocoscienza e del buonsenso, Mill riprende quindi il concetto che fu caro sia a Jeremy Bentham che a Cesare Beccaria su quale debba essere la domanda da porci prima di assumere una qualsiasi decisione e di intraprendere una qualsiasi azione, ovvero: “Con la mia azione faccio male o rischio di recare danno agli altri?“. Se la risposta è affermativa, il soggetto è chiamato a riflettere sull’opportunità della sua scelta e a riconsiderarla confrontandosi con la società.

Mill auspica una società matura che sappia intervenire prima e meglio dello Stato per autoregolarsi, proteggersi e conquistare sempre maggiori fette di libertà per una pacifica e felice coabitazione. Se ciò non è possibile allora imposizioni e obblighi temporanei sono inevitabili purché il fine sia sempre il bene comune.

Salvatore Primiceri

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