L’enigma del treno impazzito

di Salvatore Primiceri – Nello scorso articolo abbiamo affrontato la differenza tra deontologismo e consequenzialismo. Come promesso, è giunto il momento di aprire le porte all’affascinante mondo della “carrellologia”. Di cosa stiamo parlando?

Ci sono situazioni in cui appare impossibile scegliere l’azione giusta da compiere, sia ragionando in termini deontologisti sia in termini consequenzialisti. Si tratta dei cosiddetti “dilemmi morali“. Muovendosi in un contesto di dilemma morale l’uomo sceglie di intervenire con la “soluzione migliore possibile” (o “male minore“) sulla quale agiscono però numerosi condizionamenti morali soggettivi. Ciò accade perché la soluzione giusta in assoluto sembra non esistere e occorre quindi ripiegare su una decisione che comporti un risultato “giustificabile” su un piano morale. Tale risultato, però, come dicevamo, non risponde pienamente né al metodo del deontologista (la giusta intenzione o giusto movente sul piano dei fondamenti etici), né a quello del consequenzialista (l’analisi delle conseguenze sul piano dell’utilità).
Per spiegare meglio il corto circuito che si viene a creare con i dilemmi morali, la filosofa inglese Philippa Foot ha elaborato nel 1967 un esperimento mentale noto come “problema del carrello ferroviario”.

Lo scenario è il seguente. Un carrello corre veloce e fuori controllo lungo un binario sul quale sono legati cinque uomini che verrebbero da lì a poco investiti. Ti trovi sul luogo in cui sta per avvenire la tragedia e ti accorgi che, azionando una leva posta in prossimità di uno scambio, puoi deviare la corsa del carrello su un secondo binario dove è legato un solo uomo. Decidendo di azionare la leva salveresti la vita ai cinque uomini sacrificando però la vita dell’uomo legato sul secondo binario. Cosa faresti? La quasi unanimità degli intervistati in varie aule di formazione (ho posto personalmente più volte a vari gruppi di persone tale quesito e posso confermarne la statistica) afferma che azionerebbe la leva scegliendo di salvare i cinque e sacrificando il singolo.

Immaginate ora di trovarvi a passeggiare sopra un cavalcavia che sovrasta la ferrovia dove si sta verificando una scena analoga alla precedente: un carrello impazzito corre verso cinque uomini legati sul binario. Notate un uomo di corporatura molto robusta affacciato al parapetto del cavalcavia mentre osserva il panorama. Intuite che spingendo l’uomo dal cavalcavia, egli cadendo si andrebbe a frapporre tra il carrello e i cinque uomini legati. Il carrello investirebbe l’uomo caduto dal cavalcavia e la vita dei cinque sarebbe salva. La domanda fatidica è la seguente: spingereste l’uomo robusto dal cavalcavia per salvare la vita dei cinque?

La statistica è sorprendente: la maggioranza degli intervistati non spingerebbe l’uomo dal cavalcavia lasciando così che il carrello investa i cinque malcapitati.
Siamo di fronte ad un risultato apparentemente contraddittorio con lo scenario precedente. In entrambi i casi si tratta di sacrificare un uomo per salvarne cinque. Perché agire, quindi, in modo differente?
Riflettiamo. Nel primo caso non abbiamo intenzione di uccidere alcuno ma di salvare più persone possibile coinvolte in un medesimo scenario (tutti i protagonisti sono legati sui binari). Azionando la leva dello scambio riduciamo il bilancio finale delle vittime di una tragedia comunque inevitabile.
Nel secondo caso l’azione di spingere una persona esterna sui binari sottintende una volontà di uccidere un innocente al fine di salvare altre cinque vite.
Tra i due casi cambia, quindi, il movente, ovvero l’intenzione. Nel primo caso la leva funge da filtro nella valutazione dell’intenzione (salvare o uccidere?) tale da far ritenere che la conseguente morte del singolo sia il male minore rispetto alla morte dei cinque. Nel secondo caso non vi è alcun filtro e la morte di un uomo avviene in seguito ad azione diretta. La situazione è in questo caso rovesciata: la morte incidentale dei cinque diventa il male minore rispetto all’eventuale morte dell’uomo sul cavalcavia (che viene vista dai più come conseguenza di un omicidio volontario).
Infine, se sapessimo che l’uomo sul cavalcavia è un pericoloso criminale? Oppure che i cinque uomini del primo caso sono dei malviventi mentre l’uomo singolo è il poliziotto che li stava inseguendo per arrestarli? Tali informazioni potrebbero influenzare il nostro giudizio morale e, conseguentemente, la decisione da prendere?
I dilemmi qui posti sono solo alcuni dei tanti elaborati da filosofi e psicologi sulla scia del “problema del carrello” per studiare il connubio tra morale, ragione e azione. Bastano poche varianti per spostare il giudizio soggettivo su cosa sia giusto fare in un determinato scenario, se dare più peso al movente o alle possibili conseguenze.

Recentemente lo psicologo e neuroscenziato americano Joshua Greene, professore ad Harvard, ha effettuato una ricerca per tentare di offrire una soluzione scientifica al problema del carrello. Greene, tramite una scansione cerebrale, ha osservato che nel decidere l’azione da compiere nei due suddetti scenari vengono attivate due aree cerebrali distinte. Sulla base di questo risultato Greene ha diviso le decisioni morali in due categorie: impersonali e personali. “I giudizi caratteristicamente deontologici sono preferibilmente supposti dalle risposte emotive automatiche, mentre i giudizi caratteristicamente consequenzialisti sono supportati preferenzialmente da ragionamenti coscienti e processi alleati di controllo cognitivo“. Nel primo caso (la leva dello scambio) l’impersonalità dello strumento azionerebbe la sfera emotiva, mentre nel secondo caso l’intervento diretto personale nello spingere l’uomo azionerebbe la sfera più razionale della nostra mente.

Traducendo nella pratica quotidiana: quanto sono frequenti i dilemmi morali? Quanto agiamo d’istinto creando una giustificazione morale alle nostre azioni? Quanto calcoliamo preventivamente la correttezza del nostro agire valutando sia l’intenzione che le conseguenze? Morale e ragione sono sufficienti a rendere giusto il nostro agire? Morale ed etica sono la stessa cosa? Ci torneremo.

Salvatore Primiceri

Bibliografia per approfondire:

  • Philippa Foot, La Natura del Bene, Il Mulino Bologna 2007
  • Philippa Foot, Moral Dilemmas and Other Topics in Moral Philosophy (2002)
  • Joshua Greene, Moral Tribes, 2014
  • David Edmonds, Uccideresti l’uomo grasso?, Raffaello Cortina Milano 2014
  • Salvatore Primiceri, Etica del Buonsenso (II edizione), Primiceri Editore Padova 2017
  • Salvatore Primiceri, La Giustizia del Buonsenso, Primiceri Editore Padova 2018

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