Il linguaggio del buonsenso secondo Cicerone

di Salvatore Primiceri – Quanto sono importanti le parole? Moltissimo. Il linguaggio è alla base delle nostre relazioni e l’uso appropriato delle parole, ovvero la capacità di sceglierle accuratamente quando si intende comunicare un messaggio, determina conseguenze che coinvolgono emozioni, sentimenti e azioni. Le parole, se ben pronunciate, sono in grado di gettare acqua sul fuoco, sedare gli animi, favorire la comprensione e la collaborazione. Se mal pronunciate, anche involontariamente, possono invece generare equivoci, inasprire liti, innescare sentimenti negativi quali, nei casi più estremi, odio, rancore e vendetta.
Per questo occorre saper costruire con attenzione e scrupolo il proprio discorso. Parlare agli altri è infatti un’azione delicata che comporta una certa responsabilità.
Per essere sicuri di non sbagliare andiamo a ripescare alcuni consigli che Marco Tullio Cicerone (Arpino, 3 gennaio 106 a.C. – Formia, 7 dicembre 43 a.C.), uno dei più celebri avvocati e oratori della storia, ci ha tramandato attraverso la sua immensa produzione letteraria.
Cicerone si preoccupa di fornire i giusti consigli soprattutto all’uomo delle istituzioni che si trova nella condizione di parlare di fronte ad un pubblico numeroso, come il politico che parla al popolo. Eccone alcuni fondamentali.
Essere responsabili usando il buonsenso. Innanzitutto chi parla deve sentire il senso della responsabilità. Le sue parole saranno infatti in grado di influenzare, comunicare e generare opinioni e atteggiamenti nei propri interlocutori. Tale responsabilità si traduce nel buonsenso: “Il fondamento dell’eloquenza, come di tutte le altre cose, è il buon senso; in un discorso, così come nella vita, niente è più difficile quanto capire ciò che sia appropriato“. Cicerone parla di “decorum” ovvero comprendere cosa sia appropriato non solo sul piano dei pensieri ma anche su quello dell’espressione. Non possono essere usate le stesse parole e lo stesso linguaggio in ogni circostanza, così come non possono essere utilizzati sempre gli stessi concetti.
Prestare attenzione agli effetti che possono essere negativi. Attraverso le parole l’oratore può generare simpatia verso qualcuno ma anche antipatia e persino odio. Se al pubblico che ascolta viene narrato in modo convincente che un fatto costituisce un pericolo verso persone perbene e verso un interesse comune si rischia di accendere e motivare nelle persone un sentimento molto vicino all’ostilità e all’odio.
Utilizzare un registro nello stile e negli argomenti non ripetitivo. Cicerone non apprezza coloro che hanno facilità di parola senza essere supportati da adeguata cultura e non valuta positivamente gli “eccessi” del linguaggio (linguaggio ripetitivo per stile e argomenti). Se si utilizzano sempre gli stessi argomenti e la stessa modalità espositiva si rischierà concretamente di stancare l’uditorio. Il pubblico inizierà a diffidare del proprio oratore, lo stesso al quale era stato inizialmente accordato ampio consenso: “le cose che inizialmente raggiungono e colpiscono in modo assai piacevole i nostri sensi, con altrettanta rapidità finiscono per procurarci noia e addirittura disgusto“.
Essere competenti per variare lo stile e arricchire gli argomenti. L’incompetenza, per Cicerone, diventerà un problema all’autorevolezza di chi parla, anche di chi parla in modo efficace: “è sicuramente preferibile una saggezza inespressa ad un’ignoranza loquace” e “una ricchezza di argomenti genera una ricchezza di parole“.
Scegliere parole pulite, disporle in modo sensato e armonico da rendere il discorso musicale. Infine, dicevamo dell’importanza della scelta delle parole. Cicerone consiglia di evitare parole volgari o abusate. Inoltre esse devono essere legate tra loro in modo ritmico senza scontro. Le parole devono, in sostanza, avere una corretta disposizione per produrre musicalità nel linguaggio.
Insomma, per Cicerone, parlare non è solo una questione di fiato, ma soprattutto di arte.

Salvatore Primiceri

Bibliografia:

  • Cicerone, L’arte di comunicare, a cura di P. Marisch, Mondadori 2007

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