L’epoca “social” della velocità che annulla il pensiero

di Salvatore Primiceri – Le abitudini, i propri convincimenti, le convenzioni, le consuetudini, sono tutti abiti che ci permettono di organizzare in modo facile e veloce il nostro stile di vita. Se da un lato questi abiti risultano confortevoli, offrendoci sicurezze e punti di riferimento, dall’altro rischiano di diventare schemi bloccanti dai quali risulterà difficile liberarsi all’occorrenza. La società impone velocità nelle decisioni da prendere, prontezza nelle azioni da compiere e non lascia molto spazio al pensiero.

Non è nello spazio che devo cercare la mia dignità, ma nell’uso regolato del mio pensiero

(Blaise Pascal)


Pensare, paradossalmente, è l’attività cerebrale che finiamo con l’esercitare meno. Per questo, in un mondo competitivo, spesso conflittuale, dove ognuno deve avere la risposta pronta, la cosa giusta da dire prima degli altri, l’azione a portata di mano, finiamo col non fermarci mai a riflettere, dialogare, studiare, approfondire. Preferiamo uniformarci, seguire l’opinione prevalente, adattarci per evitare problemi. Non c’è tempo da perdere, meglio fare come si è sempre fatto o seguire passivamente la massa.
La nostra mente ci aiuta in questo e, a volte, ci tradisce. La mente immagazzina modelli e offre risposte pronte per venire incontro rapidamente alle nostre esigenze quotidiane. La mente si adatta e si dimostra, quindi, piuttosto pigra a offrire automaticamente nuove idee se non stimolata adeguatamente. Tante volte, di fronte ad un problema apparentemente nuovo, non sembriamo in grado di trovare soluzioni e ricerchiamo laddove abbiamo già provato senza successo. Non riuscire più a muovere il pensiero significa, il più delle volte, tentare testardamente di oltrepassare un vicolo cieco finendo inevitabilmente contro il muro.
Come fare a rieducare il nostro cervello a non diventare prigioniero degli schemi? L’esercizio più antico è quello che ci viene fornito, ancora una volta, da Socrate. Il filosofo greco si fingeva ignorante al fine di non precostituirsi un giudizio sulle cose che udiva o a cui assisteva. Si inseriva nelle discussioni e poneva domande col fare di chi non sa e vorrebbe sapere. Il più delle volte si trovava di fronte a giovani ambiziosi in odore di carriera militare o politica che sembravano avere in mano le più importanti definizioni del sapere universale: cos’è il bene e il male, la giustizia, la virtù, la felicità e così via.
L’attività del porre domande proseguiva in un crescendo dialogico spesso intenso e talvolta persino irritante, soprattutto per chi, dentro di sé, non accettava di confrontarsi mettendo in discussione i propri convincimenti. L’esito delle discussioni avviate dal grande filosofo con i suoi interlocutori non sempre portava a conclusioni convincenti. Eppure l’attività posta in essere da Socrate è risultata fondamentale per l’evoluzione della nostra società e dei valori fondamentali che dovrebbero regolare la felice e costruttiva convivenza fra persone. Il merito è aver indotto la mente a non fermarsi alle convinzioni maggiormente diffuse o precostituite, a pensare mettendo in discussione i presupposti, a cercare con sforzo e impegno un miglioramento del proprio pensiero anche quando si ritiene di aver raggiunto “ciò che va bene”. Non importa che ci sia sempre un risultato soddisfacente, importa piuttosto abituare la nostra mente a ragionare sempre, anche quando crediamo di avere la soluzione giusta pronta all’uso. Il pensiero non è mai una perdita di tempo, il risultato potrebbe arrivare molto tempo dopo e inaspettatamente.
Socrate, ambizioso di giungere a definizioni universali di concetti etici che dovrebbero essere il faro della nostra vita, ci ha insegnato che l’attività di ricerca attraverso il pensiero è la base per essere persone preparate nella vita, prima di qualsiasi altra competenza specifica.
Potremmo quindi dire che Socrate è uno dei padri del “pensiero laterale” (metodo coniato dal noto psicologo maltese Edward De Bono per risolvere i problemi sfruttando modalità di pensiero alternative a quello dominante o “verticale” dettato dalla logica e dalle abitudini) laddove di fronte al “verticalismo logico” dei suoi interlocutori proponeva una modalità di pensiero aperta e non consequenziale e, per questo, risultante spesso scomoda e difficile da accettare.
Quanti di noi oggi, nella paradossale “epoca social” caratterizzata da arroganza e “tuttologismo“, accetterebbero di dialogare con Socrate?

Salvatore Primiceri

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