Marco Aurelio e il culto della gentilezza

(di Salvatore Primiceri) – Marco Aurelio, considerato “l’imperatore buono” di Roma per la sua naturale inclinazione alla filosofia e l’appartenenza alla corrente dello stoicismo, apre il suo libro di “ricordi” (intitolato “A sé stesso”) con un ringraziamento al nonno Vero per avergli insegnato l’arte della gentilezza e l’abitudine a trattenere gli impeti dettati dall’ira. [I,1,1]

Poco più avanti l’imperatore filosofo ringrazia anche Sesto per il medesimo motivo, ovvero per il suo essere benevolo, per il suo saper dire bene delle persone e comportarsi bene con gli altri senza lasciarsi turbare da passioni e rabbia. Sesto era esempio di cura verso gli amici, di persona che non giudica, autorevole ma, al tempo stesso, affettuosa verso gli altri. [I,9,1]
Per Marco Aurelio la gentilezza è un principio guida nella vita, addirittura un’arma vincente contro gli stolti, gli ignoranti, i malevoli.
Oggi potremmo dire altrettanto? Quanto paga oggi l’essere gentili?
La gentilezza è una caratteristica dell’essere umano sempre più inconsueta. In un mondo individualista e competitivo, l’atto gentile, soprattutto quello autentico, incondizionato e non finalizzato ad un ritorno di utilità personale, è guardato persino con sospetto (“ma cosa vorrà questo da me?”, “che mi nasconde?”).
Arroganza, diffidenza e aggressività oggi sono contenuti nella cassetta degli attrezzi utili (ma c’è chi li considera addirittura necessari) per ottenere successo, per avanzare in carriera. Il gentile è, al massimo, qualcuno che può tornare utile al solo fine di sfruttarne le capacità. Il gentile, quando va bene, rimedia un misero grazie, sempre che nell’interlocutore sia rimasto almeno un briciolo di educazione.
Eppure Marco Aurelio era convinto che l’atteggiamento gentile fosse premiante. E se lo era alla sua epoca, perché mai dovremmo oggi arrenderci al non considerarlo?
Iniziamo con l’osservare che la gentilezza è virale; un gesto gentile fa bene a chi lo fa riceve e anche a chi lo fa. La gentilezza stempera gli animi e favorisce la collaborazione, la socialità (“siamo al mondo per reciproco aiuto“, ammoniva l’imperatore). “Nessuno si stanca di ricevere un beneficio. La benevolenza è un atto conforme a natura quindi non ti stancare di beneficare te stesso perché proprio in questo fai un beneficio anche agli altri“. [VII,74,1]
Come si diceva, è importante assumere un atteggiamento paziente e benevolo anche verso i “nemici”. “Coloro che oppongono resistenza al tuo procedere secondo retta ragione, come non potranno distoglierti dal sano operare, così possano non stornarti dalla tua gentilezza verso di essi. Sta in guardia in ambedue le direzioni similmente: non soltanto circa la stabilità della tua risoluzione ad agire, ma anche circa la tua mitezza nei confronti di coloro che mettono mano ad impedirlo“. [XI,9,1]
E ancora Marco Aurelio ci ricorda come la gentilezza sia qualcosa di incondizionato: “Ricorda che la benevolenza è invincibile quando è genuina, priva di falsi sorrisi e di ipocrisia“. [XI,18,15]
La benevolenza disinnesca l’ira dei più malvagi: “Cosa potrebbe mai farti un uomo anche più oltraggioso se tu continui ad essere mite verso di lui e, se capita, ad ammonirlo pacatamente; e gli insegni con buone maniere una via migliore nel momento stesso in cui egli mette mano a maltrattarti?” [XI,18,16]. Occorre continuare a comportarsi in modo mite e gentile anche di fronte all’avversario insultante. L’importante, però, è che tale atteggiamento sia sempre svolto “senza ironia e senza offesa; non con la pedanteria di un maestro di scuola né in modo da cercare l’ammirazione di chi vi sta accanto, ma come se foste soli anche se vi sono dei testimoni al tuo discorso“. [XI,18,18]
L’atto gentile, quindi, non deve cercare fama e nemmeno ricompensa: “Tu hai beneficato un amico; un tuo simile ne ha tratto vantaggio. Oltre a questo perché vai cercando una terza soluzione? Così fanno i pazzi che cercano la fama del beneficio compiuto e il ricambio di ciò che si è fatto“. [VII,73,1]
Infine, per essere gentili occorre anche un grande sforzo, in quanto non è solo un fatto di cortesia ma è una scelta: “Gli spartani, quando c’era una festa, mettevano i sedili per gli ospiti stranieri all’ombra e loro si sedevano dove capitava” [XI,24,1].
Marco Aurelio rivolgeva le sue riflessioni verso sé stesso. Si interrogava, si imponeva di migliorare e di agire sempre per il bene comune; una sorta di autoanalisi, intensa e quotidiana di cui il tempo di oggi avrebbe molto bisogno.

Salvatore Primiceri

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